Decorare la pelle con un tatuaggio ha sempre un’implicazione psicologica; chi si tatua attribuisce significati simbolici sia al tipo di disegno rappresentato, sia alla zona, sia alla pratica stessa, quasi fosse un rito.

Al giorno d’oggi il tattoo è una pratica che coinvolge in modo trasversale tutte le classi sociali, le culture, credenze religiose e ambiente morale d’estrazione. Eppure, fino a non molto tempo fa, il tattoo era un tratto distintivo di persone ai margini, era il denominatore comune della vita di strada, dei detenuti in particolare, delle prostitute e dei marinai. Indietreggiando nelle epoche si trovano sempre tracce della pratica del tatuaggio, che assumeva il significato di rito collettivo, di “marchio” d’appartenenza o di amuleto come protezione dagli spiriti negativi. Questa pratica non ha un solo luogo d’origine, e nei secoli se ne trova traccia in modo diffuso in più aree geografiche, anche senza alcuna connessione.

Il termine tatuaggio è derivazione del termine “tatoo” dei nativi americani, la cui radice è polinesiana, “tatu” infatti per i polinesiani è il marcare il corpo con segni. Anche se dunque il termine è comune, variano le tecniche per imprimere permanentemente i disegni sulla pelle attraverso l’uso di particolari aghi e pigmenti ed eventualmente di tecniche di scarificazione, per creare simboli e geometrie attraverso particolari cicatrici.

COME VIENE FATTO IL TATUAGGIO

Oggi il tatuaggio viene realizzato con la cosiddetta tecnica occidentale, di matrice americana, con la macchinetta elettrica ad aghi, senza dolore. La componente della sofferenza segna una netta spaccatura tra il tatuaggio odierno, di stampo occidentale, e quello del passato, diffuso in Asia, Africa ed Oceania. In tali contesti e in tempi passati, l’esperienza del dolore è fondamentale, in quanto avvicina l’individuo alla morte e la sopportazione del dolore diventa quindi un rito esorcizzante. Oltre all’esperienza del dolore, è indispensabile la perdita di sangue. Il sangue è l’indicatore per eccellenza della vita: spargere sangue, in modo controllato e ridotto, quando si esegue un tatuaggio, significa simulare una morte simbolica. La pratica del tatuaggio prevede sempre la penetrazione di un ago in uno strato superficiale della pelle e l’iniezione di pigmenti colorati per produrre l’immagine, il simbolo, la scritta.

Indipendentemente dalla tecnica usata per il tattoo, il dolore varia a seconda del punto del corpo nel quale viene praticato. Le parti meno dolorose sono gambe e braccia, mentre su polsi, caviglie, mani e piedi il tatuaggio fa più male perché sono zone ricche di terminazioni nervose.

STORIA DEL TATTOO

LE TECNICHE DI TATTOO: AMERICANA E GIAPPONESE

La tecnica giapponese, detta “irezumi”, è una tecnica manuale che consiste nel far penetrare degli aghi intrisi di colore in modo obliquo nella pelle, applicati ad uno strumento con impugnatura in bamboo. I gesti sono rapidi e decisi, compiuti con la pelle in tensione.

Nonostante anche in Giappone si sia diffusa la tecnica americana (non dolorosa) molte persone decidono di ricorrere al metodo tradizionale dell’irezumi poiché garantisce risultati particolarmente brillanti ed esteticamente unici ed esclusivi. Meno manuale è la tecnica americana che prevede l’impiego di una sorta di “pistola” con tre o cinque aghi in movimento. Questo metodo, per l’assenza di dolore (al massimo un forte fastidio) è divenuto in breve il più diffuso a partire dalla fine dell’800.

Altri metodi per il tattoo sono la cosiddetta tecnica samoana e la tailandese. La prima consiste nella penetrazione della pelle di uno strumento a forma di pettine, le cui estremità vengono intrise con i colori, puntellandolo con l’ausilio di un bastone. L’altra consiste nell’appoggiare sulla pelle l’estremità di un tubo di ottone all’interno del quale vi è un’asta appuntita che viene guidata nel corso della perforazione.

I TATUAGGI TEMPORANEI

L’estratto delle foglie di Henna, un arbusto delle Borraginacee, è da secoli noto per la tintura naturale di stoffe e capelli e viene largamente impiegato anche per i tattoo in Africa e India.

Il disegno praticato sulla pelle con l’henne (l’estratto di Henna) è il cosiddetto tatuaggio temporaneo, che sbiadisce nell’arco di un mese. Alcuni additivi fissatori presenti nel prodotto possono però sviluppare allergie alla pelle.

IL BRANDING. LA PELLE MARCHIATA A FUOCO

In diversi Paesi vietato dalle normative, il branding è una forma estrema e molto dolorosa di tatuaggio, diffusa oggi soprattutto tra i giovani afroamericani. Il branding, che letteralmente significa “marchiare a fuoco”, consiste nell’accostare un ferro rovente di varie forme (ad esempio il classico “ferro di cavallo”) alla pelle del braccio o in altre parti del corpo. Come il tatuaggio, anche il branding ha origini remote, venivano marchiati a fuoco gli schiavi e i delinquenti in Egitto e a Roma e poi, in epoca successiva i martiri cristiani, quale atto punitivo. Quest’ultimo veniva inflitto ai delinquenti anche sotto la vecchia monarchia francese, nella Russia imperiale o agli ebrei nei campi di concentramento nazisti.

Oggi diffusa branding, tipico fenomeno americano, è sinonimo di coraggio e di appartenenza a bande giovanili o confraternite universitarie.

ELIMINARE I TATUAGGI

Il grande fascino dei tattoo è dato proprio dal fatto che sono permanenti, cioè i pigmenti inseriti con gli aghi restano stabilmente sottocute. Tutte le pratiche di rimozione dei tatuaggi hanno dei forti limiti, che consistono nel rischio concreto di creare una cicatrice o una discromia anche molto evidente in luogo del disegno sulla pelle. Fino a qualche anno fa, farsi rimuovere dalle pelle un tatuaggio era possibile solo sottoponendosi ad una dermoabrasione con fresa o con cristalli salini oppure con la rimozione chimica per l’utilizzo di acido tannico o tricloroacetico, o ancora con la rimozione chirurgica. Tutte pratiche, queste, piuttosto dolorose e il cui risultato non veniva garantito, lasciando cicatrici più o meno vistose o comunque residui di pelle pigmentata.

Il laser q-switched per la rimozione dei tatuaggi ha però migliorato la situazione , consentendo più possibilità di successo nel rimuovere i pigmenti, visto che l’energia luminosa bersaglia in modo preciso solamente le parti colorate, vaporizzandole. A seconda della grandezza o dell’elaborazione del tatuaggio, nonché dalla presenza di più colori, si rendono necessarie più sedute per la sua rimozione, a distanza di tempo l’una dall’altra. Ai vari colori utilizzati nel tatuaggio, inoltre, deve corrispondere un laser con una differente lunghezza d’onda. I risultati non sono quasi mai la rimozione completa del tatuaggio, di cui rimane comunque una vaga traccia, fatto che sottolinea da sé l’importanza di valutare con attenzione che tipo di disegno farsi incidere. Sconsigliatissimi sono i nomi della nuova fiamma che, magari, si “spegne” con il tempo, mentre il tattoo resta!