Grazie ai nuovi farmaci prodotti con tecniche di ingegneria genetica è possibile ottenere un miglior controllo delle lesioni cutanee. E anche gli effetti collaterali risultano ridotti rispetto a quelli delle terapie sistemiche precedentiSubdola, cronica e invalidante, spesso non diagnosticata, colpisce soprattutto tra i 15 e i 35 anni e limita pesantemente la qualità di vita. La psoriasi nel mondo interessa una persona su 50, cioè circa 100 milioni di soggetti, e in Italia 2 milioni e mezzo. Nelle forme più gravi può causare limitazioni fisiche tali da compromettere anche le più semplici attività e la vita di relazione producendo una sofferenza psichica così grande da indurre nel 10% dei malati propositi suicidi.

Oggi grazie a farmaci biologici come l’efalizumab e l’infliximab per i malati di psoriasi si aprono migliori prospettive, sia sul fronte del controllo delle ricadute che del miglioramento della qualità della vita. «I medicinali finora utilizzati – spiega Alberto Giannetti, presidente della Società italiana di Dermatologia medica, chirurgica, estetica e delle Malattie sessualmente trasmesse – agivano solo sui sintomi e non sulle cause della malattia. Inoltre, le terapie somministrate per via generale (compresse, capsule, etc.) non potendo essere usate per periodi lunghi a causa degli effetti collaterali, a volte anche gravi, non consentivano un controllo efficace della malattia, aprendo così la porta a frequenti ricadute, e non potevano essere usate in pazienti affetti contemporaneamente da altre patologie quali, ad esempio, l’ipertensione, l’insufficienza epatica e l’insufficienza renale, che restavano così privi di cura».

A lungo termine
I nuovi farmaci biologici, ottenuti attraverso le tecniche del DNA ricombinante, invece, riescono a intervenire sulle molecole e le cellule (segnatamente i linfociti T) principalmente responsabili della patologia. Colpiscono cioè la malattia più vicino ai suoi «centri vitali» e, grazie ai minori effetti collaterali che determinano, consentono anche trattamenti a lungo termine con conseguente riduzione degli episodi di riacutizzazione. «Per ottenere la massima efficacia dalle terapie biologiche – dice Fabio Arcangeli, presidente dell’Associazione Dermatologi Ospedalieri Italiani – i trattamenti vanno protratti per almeno tre anni. La loro somministrazione, però, che generalmente avviene con iniezioni sottocutanee, è diluita nel tempo con intervalli che, a seconda dei casi, possono arrivare anche a 15 giorni e ciò rappresenta un grande vantaggio per i malati perché consente di condurre una vita normale. Anni fa, invece, per curare con applicazioni locali (pomate, unguenti, lozioni …) le forme più estese di psoriasi i pazienti venivano ricoverati per 15-20 giorni e per seguire le terapie fototerapiche dovevano recarsi in ospedale 2-3 volte la settimana».

Ciclosporina
«Un decisivo passo in avanti in termini di qualità di vita si è avuto con l’arrivo di trattamenti sistemici come il retinoide e la ciclosporina – prosegue l’esperto – che hanno consentito ai malati di poter gestire la malattia anche a casa propria. Di contro, però, queste terapie possono determinare effetti collaterali anche seri: la ciclosporina, ad esempio, che appartiene alla classe degli immunosoppressori, può essere usata per trattamenti prolungati solo nei casi di estrema necessità. poiché può favorire l’insorgenza di tumori». L’arrivo delle terapie biologiche, dunque, rappresenta senz’altro una “rivoluzione” nella cura della psoriasi. Il loro impiego, però, per ora è limitato a pazienti selezionati.

Costi elevati
«Attualmente, – continua Arcangeli – questi farmaci, a causa dei costi molto elevati, possono essere dispensati gratuitamente solo dalle farmacie ospedaliere per il trattamento di malati con psoriasi di grado medio-grave che non rispondono alle altre terapie o che manifestano recidive non appena sospese le cure, e di soggetti che a causa della presenza concomitante di altre patologie non possono essere curati con i trattamenti tradizionali. La prospettiva è di poter usare queste terapie innovative, magari in una versione più soft, anche nel trattamento della psoriasi di grado lieve».