12Una nuova metodologia, tutta italiana, punta alla risoluzione di molte allergie grazie ad una graduale assunzione degli alimenti responsabili

La Clinica pediatrica dell’uni­versità di Trieste -lrccs Burlo Garofolo riesce a guarire oltre un terzo dei bimbi ‘superallergici’ agli alimenti – in particolare queli ipersensibili alle proteine del latte e dell’uovo – somministrando dosi cre­scenti dell’alimento sotto accusa, fino a riaddestrare l’organismo a tollerare anche i cibi che inizialmente rifiutava come velenosi.

In Italia sono almeno 400 mila bambi­ni con allergie alimentari (tra i 5 e i 15 anni), di cui 3 mila a rischio di gravi reazioni anche dopo minimi contatti con l’allergene incriminato.

Non fate confusione!

La reazione negativa al cibo è spesso erroneamente definita allergia alimen­tare. In molti casi è provocata da altre cause come un’intossicazione ali­mentare di tipo microbico, un’avver­sione psicologica al cibo o un’intolle­ranza ad un determinato ingrediente di un alimento. Occorre stare attenti a non fare confusione fra allergie e intol­leranze alimentari. La prima è una forma specifica di intolleranza, ad ali­menti o a componenti alimentari, che attiva il sistema immunitario. Un aller­gene – proteina presente nell’alimento a rischio che nella maggioranza delle persone è del tutto innocua – innesca una catena di reazioni del sistema immunitario, tra cui la produzione di anticorpi. Gli anticorpi determinano il rilascio di sostanze chimiche organi­che, come l’istamina, che causano vari sintomi: prurito, naso che cola, tosse o affanno; ma anche rea­zioni gravi, pericolose per la vita. Le allergie agli alimenti o ai componenti alimentari, spesso ereditarie, vengo­no In genere diagnosticate nei primi anni di vita.

La seconda, ossia l’intolleranza ali­mentare, coinvolge invece II metabolismo ma non II sistema Immunitario. Un tipico esempio è l’intolleranza al lattosio: le persone che ne sono affet­te hanno una carenza di lattasi, l’enzi­ma digestivo che scompone lo zuc­chero del latte.

Una vita normale

Per i bambini fortemente allergici ad un alimento, la vita è dura. La strate­gia protettiva infatti, cioè l’eliminazio­ne totale di un cibo, è difficile oltre che pericolosa. Statisticamente, anche chi non mangia l’alimento incriminato, entro 5 anni dall’ inizio della dieta si imbatte casualmente nell’allergene – e generalmente sviluppa una reazione molto violenta.

La metodica di desensibilizzazione ali­mentare triestina, In radicale contro­tendenza con I “rimedi” attuali (che consistono nella totale eliminazione del cibo allergizzante dalla dieta del bimbo) è stata rivelata da uno studio pubblicato sul Journal of Allergy and Clinical Immunology. La ricerca – prima del suo genere in Italia – è durata tre anni e ha coinvolto 60 bambini superallergici a latte e uova. Al termine del periodo di riedu­cazione, più di un terzo ha riacquista­to la capacità di nutrirsi liberamente senza manifestare reazioni avverse e oltre la metà è comunque riuscito a tollerare nella dieta quantità limitate dei cibi che prima rigettava del tutto. L’equipe della Cllnica pediatrica dun­que, attraverso un rigoroso protocollo di desensibilizzazione, ha “regalato” una vita nomale a quei bambini che, prima, rischiavano costantemente lo shock anafilattico.

La nuova metodica

“Nel suo complesso la nostra proce­dura è faticosa e richiede un impe­gno continuo da parte dei genitori”, spiega Giorgio Longo, responsabile dell’Unità operativa di Allergologia del Burlo Garofolo, “ma regala a que­ste famiglie una qualità di vita nuova­mente serena”.

Lo schema di desensibilizzazione si articola in due fasi: la prima, quella più pericolosa, si svolge in ospedale, con il bambino ricoverato. In 10 giorni di degenza, il latte viene somministrato a dosi rapidamente crescenti, Iniziando da diluizioni quasi omeopatiche, e aumentandole rapidamente ogni due ore, finché alla dimissione II bimbo rie­sce ad assumere tra 10-20 millilitri di latte puro. Nella seconda fase, a casa, seguendo lo schema indicato, i genitori continuano a somministrare il latte, ma una sola vola al giorno e con aumenti molto più lenti e graduali. In questo modo il bambino arriva a tolle­rare dosi sempre crescenti del cibo sotto accusa, fino a liberalizzare del tutto la sua dieta.

Esserne certi

Per quanto riguarda i bambini che hanno problemi di intolle­ranza alimentare (come la celiachia) la prima cosa da fare è sottoporli ad accertamenti clinici adeguati presso centri specia­listici. E1 importante che le analisi siano eseguite nel modo giu­sto. Vanno fatti dei test di sforzo seguendo dei criteri ben preci­si: prima a digiuno, poi con gli alimenti sospetti e infine senza gli alimenti sospetti. Finché non è dimostrata l’intolleranza, non bisogna togliere cibo ai bambini, si potrebbe essere il rischio di eliminare dei cibi importanti per la dieta.

Meno batteri, più allergie

Spiega il coordinatore del Dipartimento di Medicina pediatrica dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma Alberto Ugazio: “La prima causa dell’aumento delle allergie negli ultimi decenni, sta nella diminu­zione del carico microbico ambientale. Gli ambienti sono sempre più asettici e veniamo sempre di meno in contatto con batteri. Ma questi hanno anche l’importante funzione di inibire le reazioni allergiche. Ecco perchè, venendo meno tale stimolo ambientale, si è determinato un grande aumento delle allergie, che si confermano come la patologia dei paesi ricchi. In Africa, infatti, le allergie sono un fenomeno trascurabile, proprio per la maggiore esposizione microbica”. Quanto a fattori come l’inquinamento, possono aggravare la situazione allergica, ma non ne sono la causa primaria, perché, continua Ugazio “il naturale contatto con microbi e batteri in qualche modo serve anche a rafforzare le dife­se immunitarie dei bambini. L’eccessiva igienizzazione è negativa. Il nostro sistema di memoria immunologica ‘ricorda’, infatti, i batteri con cui siamo entrati in contatto evitandoci infezioni successive”.